Alberto Benchimol: focus sulla montagna accessibile e lo sport per tutti

Alberto Benchimol: focus sulla montagna accessibile e lo sport per tutti

 

Sfrecciare sulla neve, scalare una parete, scoprire la montagna sono attività che devono, o dovrebbero, essere alla portata di tutti, perché le emozioni che offrono sono universali.
Ne parliamo con Alberto Benchimol, fondatore e direttore esecutivo della Sportfund, una fondazione Onlus che si occupa di inclusione sociale tramite lo sport.

La Sportfund nasce nel 2016 ma in realtà il tuo impegno risale a molto tempo prima. Qual è stato il tuo percorso?

È difficile riassumere più di 35 anni in poche parole.

Ho iniziato nei primi anni ’80, quando, maestro di sci, ho cominciato a partecipare ai primi convegni sul tema, poi, stimolato dal programma messo a punto da Hal O’Leary negli USA, ho pensato di importare quelle idee in Italia.

Erano tempi davvero pionieristici.
Nel 1988 ho fatto da guida all’atleta ipovedente Bruno Oberhammer alle Paralimpiadi Invernali di Innsbruck, e insieme abbiamo vinto i primi Ori paraolimpici italiani nello sci alpino.
In seguito, sono stato alla guida della Nazionale di sci alpino disabili e formatore per l’allora Comitato Italiano Paralimpico.
Nel 2006 ho poi ideato e promosso la costituzione di una fondazione in ambito sportivo, che ho diretto per 10 anni.
Il progetto Sportfund fondazione per lo sport Onlus nasce nel 2016 per dare un nuovo corso all’impegno nello sport inclusivo: l’ho inaugurato con un gruppo di professionisti esperti in ambito sociale, sportivo, giuridico e architettonico.

 

Di cosa si occupa la Sportfund?

Il nostro obiettivo è abbattere le barriere, che siano fisiche, sociali o psicologiche, che ostacolano l’accesso allo sport, lavorando con professionisti per promuovere l’inclusione.
La nostra filosofia? Non attiviamo corsi riservati unicamente ai bambini con disabilità poiché crediamo che tutti debbano giocare e fare sport assieme, indipendentemente dalle diverse attitudini personali e dalla condizione economica.
Ci prendiamo cura della cosiddetta “base”.
Tra i nostri progetti, “+Sport”, che è un macro-contenitore in cui convergono arrampicata sportiva, camminata nordica, calcio, attività equestre, psicomotricità di base e attività ludico-motorie varie.
Poi ci occupiamo, e in modo massiccio, di formazione degli operatori sportivi e non solo. Personalmente, sono impegnato nella formazione dei maestri di sci, delle guide alpine e degli accompagnatori di media montagna.

Siamo una fondazione che si autofinanzia, e perciò è grazie ai nostri partner e sponsor che possiamo operare.
Tra questi, la Fondazione Prosolidar Onlus, la Fondazione Maccaferri di Bologna e, come partner istituzionali, Essse Caffè e Kirio.

Tra i partner tecnici che hanno avuto fiducia in noi vi sono invece Climbing Technology e Montura.

 

Tra i vostri focus, lo sport in montagna: come si sta evolvendo la cultura dell’accessibilità ad alta quota?

La montagna è diventata progressivamente un ambiente inclusivo: ormai quasi ovunque, grazie agli investimenti e alle innovazioni tecnologiche, gli impianti a fune sono accessibili, in estate e in inverno, e dispongono di personale competente in materia.
L’accessibilità è prima di tutto una forma mentis, quindi non riguarda solo le barriere fisiche ma la disponibilità all’accoglienza.
Sicuramente la sensibilità è cresciuta molto, anche grazie alla formazione professionale.
È migliorata anche l’accoglienza dei turisti la cui disabilità non è di carattere fisico, come ad esempio le persone con sindrome dello spettro autistico, che sempre di più frequentano la montagna, ottenendone un gran beneficio.
Cambia anche la pratica sportiva: si sta diffondendo molto l’arrampicata sportiva, un’attività che offre emozioni e soddisfazioni intense, e che ha anche indicazioni terapeutiche.
In generale, l’attività inclusiva in montagna è in forte crescita.
Per quanto riguarda lo sci alpino, disciplina che comporta un maggiore sforzo organizzativo ed economico per le famiglie, la speranza è che i successi della coppia Bertagnolli-Casal nello sci alpino, alle Paralimpiadi Invernali di Pyeongchang, siano di stimolo per tanti giovani per avvicinarsi a sport meravigliosi.

 

Come il pensiero corrente si è evoluto, in questi anni, rispetto al tema?

La mentalità ora è differente, e anche il lessico ad essa associato.
Un tempo il disabile era considerato un “minorato” e veniva definito unicamente per ciò che non poteva fare, con espressioni spiacevoli e intrise di compatimento.
Oggi si comincia a pensare allo sport per le persone con disabilità come ad un grande progresso collettivo in termini di superamento dei propri limiti: un concetto che, a ben vedere, appartiene allo sport in generale, senza distinzioni.
Nel 2009 l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu che definisce la disabilità come interazione tra una condizione personale e un ambiente sfavorevole.
Quindi ogni essere umano può vivere l’esperienza della disabilità in una fase della vita. Non solo: abbiamo la precisa responsabilità di rendere lo sport accessibile a tutti.
È in questa direzione che ci stiamo muovendo.

 

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