Ambientalismo e sviluppo sostenibile: ad ogni ripresa di stagione si apre il dibattito. La montagna torna ad affascinare anche i giovani. La ricetta di Valeria Ghezzi: “Creare le condizioni perché restino a lavorare in montagna”.

– L’autunno è la stagione migliore per fare bilanci e propositi sull’anno e l’inverno che verranno. La montagna attende ancora neve e sciatori e fin dall’estate si mostra “al naturale”, mettendo a nudo la sua bellezza più autentica spesso anche selvaggia quando le prime spolverate di neve la accarezzano all’improvviso. E’ allora che torna attuale un antico dibattito: fin dove l’uomo può stendere la sua mano su quell’ambiente di cui pure fa parte, con ogni diritto, e da dove occorre, invece, tutelare tout court la natura. Ogni anno gruppi di ambientalisti alzano la voce contro progetti, investimenti ed iniziative pensate per vivacizzare la realtà montana di chi, scegliendo di restare a vivere in quota, sceglie anche di tutelare l’ambiente. Due visioni, spesso in contrasto ed in mezzo i concetti di economia e sostenibilità.

«Siamo fortunati, noi funiviari, a poter essere rimasti a vivere nel “nostro” ambiente – spiega Valeria Ghezzi, presidente di ANEF – Associazione Nazionale Esercenti Funiviari – . Svolgiamo un lavoro faticoso che ha un unico obiettivo: rendere accessibile l’alta montagna tutelando l’ambiente sia per noi che ci viviamo, sia per chi ci arriva in vacanza». Già, il turismo: «Fare turismo significa non solo dare ospitalità, ma anche permettere alle persone di restare nelle valli di origine, con una fonte di reddito e servizi – dalle scuole, ai presidi sanitari – adeguati».

Nei territori di montagna vive il 12,2% degli italiani e si produce il 16,3% della ricchezza del Paese, con un fatturato medio lordo del settore che si attesta intorno al miliardo di euro: «Le ricadute positive – prosegue Ghezzi – portano ad un indotto che vale circa 7 miliardi di euro». Dei 1.500 impianti di risalita italiani, il 90% è rappresentato da ANEF con un forza lavoro di circa 11.000 impiegati. Gli impianti permettono di sciare e passeggiare d’inverno mentre d’estate danno un passaggio anche a chi pedala su due ruote. Famiglie, anziani, ma anche sempre più giovani attratti da un’esperienza green, dopo essere cresciuti come nativi digitali, immersi nella tecnologia e nella virtualità. Eppure la polemica spesso è aspra. Sì a nuovi musei in cemento in quota – per ricordare pur giustamente, quell’impresa o quel personaggio – , no secco  a concerti che semel in anno, una volta all’anno, possono portare fra le cime anche chi, invece dei cori di montagna, ha conosciuto solo quelli da stadio.

«Anche noi non siamo esenti da errori, ma come gestori di impianti che occupano lo 0,05% del territorio montano – dice Ghezzi – rifiutiamo l’etichetta periodica di devastatori del territorio, perché, al contrario abbiamo piena consapevolezza della delicatezza del nostro patrimonio, ma anche del fatto che la tutela dell’ecosistema non può essere alternativa alla realizzazione di opere indispensabili per evitare lo spopolamento».

Demagogia e sostenibilità ingaggiano sempre un annoso walzer di voci contrastanti: «In montagna non ci aspettiamo la stessa logistica favorevole che esiste in città – fa un esempio Ghezzi – per questo ci scoraggia una sorta di ambientalismo sedicente, che proprio dalle comodità di un ufficio in città, pretenderebbe di dettare la linea». Un punto su tutti è emblematico secondo ANEF: gli “ambientalisti” di montagna sono pochi. «Infatti a censimenti e battute a piedi per monti e crode contribuiscono più i cacciatori, quando i guardiaparco non riescono a monitorare la zona a loro assegnata, se non magari in auto». Poco organico, poco appeal per lavori davvero duri e in mezzo un fronte del no, sempre schierato contro.

«Dopo la tempesta Vaia di un anno fa, a ripulire le strade forestali sulle aree sciabili, che furono subito pronte per la stagione, non ho visto ambientalisti devoti, ma i nostri colleghi impiantisti, mentre la maggior parte delle strade forestali fuori dalle aree sciabili sono ancora inagibili», provoca e conclude Ghezzi. Siamo sicuri che fra un ambientalismo di facciata, di penna e di parola che combatte la capacità di essere resilienti ed operativi, a perdere poi non sia davvero l’ambiente?

Valeria Ghezzi e Lucia Galli per Anef, in collaborazione con Alp Style magazine

 

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