Stazioni da sci: quanto contano le dimensioni?

Le mini aziende a conduzione familiare e le società “supersize” devono confrontarsi con tematiche simili: la gestione, lo sviluppo del turismo, il clima. Come se la cavano?

Una bella giornata trascorsa sugli sci è come uno show. Il pubblico, ovvero gli sciatori, conosce quanto avviene sul palco, mentre ignora cosa si agita dietro le quinte, dove il personale delle aziende funiviarie lavora alacremente per tutta la stagione assicurandosi che tutto vada per il meglio. La salute finanziaria di queste aziende dipende inoltre da vari fattori macroscopici: il cambiamento climatico, l’attrattività del territorio, le tendenze turistiche. In questo contesto, quanto conta il fatto di essere un’impresa di piccola o grande taglia? Proviamo a rispondere a questa domanda, con l’aiuto di Daniele Dezulian vicepresidente del S.I.T.C.Canazei, parte di Dolomiti Superski, e Rolando Galli, presidente del S.A.F. Abetone, in Toscana.

“Le dimensioni di una stazione sono legate a ragioni di opportunità, contesto e territorio” spiega Galli. “In genere un comprensorio non molto grande è più vicino alla città, a cui è ben collegato. Solitamente è frequentato dai pendolari dello sci, che acquistano il giornaliero o la mezza giornata, e più raramente diventa una meta per le settimane bianche”.
Ma il settore mostra un certo dinamismo: a dispetto di un tessuto economico e produttivo italiano tipicamente frammentato, le aziende funiviarie hanno saputo consorziarsi ed unirsi per promuovere il territorio e lo sci, sulle Alpi come sugli Appennini. “Le grandi aziende – afferma Dezulian – possono permettersi economie di scala maggiori, dispongono di uffici tecnici e marketing, centri manutenzione, hanno più personale. Le piccole aziende possono ottenere gli stessi vantaggi consorziandosi e proponendo un unico skipass. Il destinatore finale, lo sciatore, le percepisce così come parte di un’unica realtà estesa”.

Grazie ai consorzi la differenza tra piccole e grandi società tenderebbe quindi a scomparire? “Dipende dal contesto, dalla governance territoriale e ambientale, dalla reattività del tessuto economico” spiega Galli. “Conta molto essere parte di un sistema turistico virtuoso, in cui ognuno fa la propria parte, e dove gli investimenti nella fune sono comunemente percepiti come importanti e funzionali allo sviluppo del turismo in generale, con benefici diretti e indiretti per tutto l’indotto”. Un esempio di questa dinamica è il rapporto tra settore ricettivo e gli impianti nelle piccole località. “L’impiantista è colui che investe maggiormente in termini di spesa. Per attirare turisti in modo continuativo, però, ha bisogno del supporto degli albergatori, che non sempre sono sensibili alla questione”.

Nel frattempo, sul piano della gestione giuridica, si intravedono nuovi sviluppi. A metà strada tra gestione indipendente e consorzio si fa strada una terza via, la società di rete, una forma di contratto più snella, come racconta Dezulian. “Alcuni territori possono avere interesse a non fondersi sul piano societario, ma ad utilizzare strumenti giuridici versatili, e che permettono comunque di fare massa critica sul mercato. Le società di rete sono meno vincolanti e più economiche di un consorzio. Inoltre possono avere durata temporanea, e spesso sono legate al raggiungimento di un obiettivo comune, come i corsi di formazione, lo scambio di figure professionali tra stazioni e così via. Stiamo pensando di introdurle all’interno del nostro gruppo. Sono convinto che questo sia il futuro”.

E a proposito di futuro, il fattore neve, legato ai cambiamenti climatici, è un problema con cui tutto il settore deve fare i conti. Chi soffre di più, tra piccole e grandi aziende? Dipende, sostiene Dezulian. “Per una grande stazione è più semplice essere attrezzata con buoni impianti di innevamento programmato, ma non è detto che una piccola stazione non li abbia. Anzi, magari, in proporzione, è ancora meglio. Alla fine la vera differenza la fanno fattori come la collocazione, l’altitudine media”. Ma forse, sul lungo periodo, la soluzione è guardare oltre: consolidare l’immagine di una montagna capace di sorprendere e divertire anche da maggio a settembre. “In questi anni –conclude Galli – abbiamo rafforzato la nostra capacità di attirare turisti anche in estate, così siamo passati da un fatturato estivo irrisorio, pari all’1%, all’attuale 15%. La montagna non è solo neve, i comprensori non esistono solo per lo sci”.

Articolo a firma di Elena Tartaglione

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