Stangata Imu: fino a 50mila euro sulle funivie, gestori in rivolta

L’Imu anche sugli impianti di risalita. Non si tratta di una proposta di legge ma di una presunta obbligatorietà decretata da una sentenza della Corte di Cassazione, che rischia di mettere in ginocchio le società che gestiscono gli impianti di risalita di tutta Italia.

La sentenza che spaventa i gestori degli impianti a fune è la numero 4.541 del 21 gennaio 2015 e riguarda un ricorso dell’Agenzia del Territorio-Agenzia delle Entrate contro la società Funivia Arabba Marmolada-Sofma Spa. Il pronunciamento della Suprema Corte entra nel merito del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto dell’ottobre 2011, che affermava l’illegittimità della nuova classificazione catastale di un impianto della società. Classificazione che la poneva nella categoria non più di trasporto pubblico, e quindi esente, ma di attività commerciale e quindi soggetta al pagamento dell’Imu. Con questa sentenza l’impianto a fune viene paragonato a un’attività commerciale. Quindi la società Sofma dovrà pagare cinque anni di arretrato dell’Ici, ora Imu.

Si tratta di un precedente che, in assenza di soluzioni politiche, produrrà un effetto domino su tutte le altre aziende del settore. L’allarme, giunto da Belluno, dove si è svolto un incontro urgente tra il presidente nazionale di Anef (Associazione nazionale esercenti funiviari), Valeria Ghezzi, e il presidente veneto della stessa associazione, Renzo Minella, per aprire un confronto con senatori, parlamentari e consiglieri regionali della provincia, è accompagnato dalle cifre: 25mila euro all’anno per una seggiovia a sei posti ai 50mila per una telecabina a otto posti. Per i bilanci di queste società, già precari e soggetti all’imprevedibilità delle condizioni meteorologiche, si tratta di un salasso insostenibile, con ripercussioni negative su un comparto strategico per l’economia turistica della montagna.

«Siamo ovviamente disponibili a pagare l’Imu sulle attività commerciali – precisa Valeria Ghezzi – ma non sugli impianti di risalita: sarebbe come tassare le ferrovie dello stato per le rotaie, visto che le nostre aziende, per la funzione che svolgono, sono per molti aspetti assimilabili a quelle di trasporto pubblico. Per di più, siamo costretti a pagare un’imposta su strutture che, alla fine della loro vita tecnica, dobbiamo smantellare, sostenendo anche questa ulteriore spesa. È come se i proprietari di una casa, dopo aver pagato per quarant’anni una tassa per il possesso di quel bene, dovessero rinunciare all’immobile, sborsando altri soldi per le spese di demolizione. Una follia».

«Siamo molto preoccupati per gli effetti che potrà provocare questa sentenza – concorda Renzo Minella – e per questo abbiamo chiamato a raccolta i rappresentanti bellunesi delle istituzioni: a loro chiediamo di agire sul governo per individuare una soluzione che permetta alle nostre società di affrontare questa imposizione in modo equo. Altrimenti molte rischiano di entrare in crisi, se non addirittura di chiudere, con conseguenze pesantissime su tutta l’economia turistica della montagna». Anche Confindustria Belluno Dolomiti condivide le preoccupazioni sollevate da Anef e chiede con forza alla politica misure concrete a sostegno di un comparto fondamentale per il turismo.

La decisione sugli impianti sciistici, purtroppo, non arriva inaspettata: migliaia di imprese con grandi impianti e macchinari devono fare i conti con le tasse sugli “imbullonati”. In soldoni, se un impianto è saldamente ancorato al suolo viene trattato alla stregua di un immobile, iscritto regolarmente in Catasto e, naturalmente, prontamente dotato di un valore e di una rendita per poter essere tassato a dovere, a partire da Imu e Tasi. Sono anni che l’agenzia delle Entrate prova a costringere le imprese ad accollarsi questo nuovo onere e con una piccola modifica alla legge di stabilità (190/2014, articolo 1, comma 244) la sua interpretazione è diventata legge. La Cassazione, a tempo di record (sentenza 3166/2015), aveva già applicato una prima volta la nuova norma a un contenzioso in corso. Ma non tutti si allineano: due sentenze dei giudici tributari regionali di Perugia hanno rimesso in discussione almeno l’attribuzione di una rendita catastale ad alternatori e trasformatori, cioè tutti gli impianti posti a valle del generatore di forza motrice.

 

http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-03-25/imu-impianti-risalita-rischio-economia-turistica-montagna-114438.shtml?uuid=AB9yuyED

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