Il popolo degli “ometti”: una tradizione millenaria e globale

Se Pollicino avesse impilato i sassi per trovare la strada di casa… avrebbe creato un ometto. Questi silenziosi “abitatori” delle montagne sono diffusi fin dal neolitico, e li troviamo dappertutto nel mondo, a qualsiasi latitudine: forse il termine più diffuso è “cairn” (di origine celtica) ma sono noti con decine di nomi, come bonhommes, steinmann, perfino inuksuk nell’Artico. E ovunque il principio base è il medesimo: una serie di sassi, il più grande in basso, come base, e via via i più piccoli in alto, fino a formare una piramide ordinata e verticale, in equilibrio.

Nella nebbia, quando si perde il sentiero, se la neve ha cancellato tracce del passaggio, ci vengono in soccorso, indicandoci la strada. Sono piccoli o quasi monumentali, semplici od elaborati, monticelli di pietre che per la forma antropomorfa, soprattutto nella nebbia, o al calar del sole, possono essere scambiati per figure fatate, e forse, chissà, lo sono davvero.

(Foto di Stefano Zanardini – Tutti i diritti riservati)

Questo elegante e funzionale “segnavia” a km zero è al centro di libri, conferenze, appuntamenti, e di una manifestazione che quest’anno è alla sua seconda edizione, il Lagazuoi Cairn Festival. Dal 14 al 29 luglio il percorso tra il Rifugio Lagazuoi e l’omonima vetta sarà la casa di tantissimi ometti, una tribù di cairn realizzati per l’occasione. Si tratta di un contest non competitivo, per singoli o coppie: i partecipanti hanno due settimane di tempo per realizzare i loro ometti, fare tre fotografie e mandarle all’organizzazione, che eleggerà i più belli.

L’iscrizione comprende i tragitti in funivia, l’assegnazione di una “postazione” numerata dove realizzare la propria opera, il pranzo al sacco (packed lunch), il tutto valido per il giorno scelto per la creazione del cairn, e per il 29 luglio, data della premiazione.

In autunno gli ometti verranno “smontati” e restituiti alla terra, pronti a rinascere alla prossima edizione.

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